lunedì 3 novembre 2014

Presentazione Il mio l'ho fatto presso l'Istituto Storico della Resistenza di Varallo - 29 Settembre 2014

All’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, è stato presentato l’ultimo romanzo dello scrittore di origini valsesiane Fabio Musati: “Il mio l’ho fatto. L’avventura del partigiano Veritò”.
Lunedì 29 settembre non è stata una data scelta a caso: il 29 settembre 1944 Clemente Musati era stato arrestato, imprigionato nelle scuole di Varallo, poi portato a Milano, quindi trasferito a Bolzano, da dove era partito per il lager di Mauthausen, dove morì. L’autore, nel giorno del suo compleanno, ha voluto regalarsi la prima presentazione proprio all’Istituto, con alle spalle il logo creato nel 1973 da suo padre Arnaldo in occasione del conferimento alla Valsesia della medaglia d’oro per la Resistenza.
Non solo un giorno della settimana piuttosto insolito, ma anche la proposta di una modalità inusuale: un dialogo tra l’autore e il direttore dell’Istituto, Enrico Pagano, contrappuntato dalle letture dell’attore Daniele Conserva, formula molto apprezzata dal pubblico presente.
“Finalmente, grazie ad un romanzo sulla Resistenza esaminata da un punto di vista complessivo e con ambientazioni verosimili e realistiche, è stato restituito a protagonisti come Clemente e Attilio Musati quello spessore umano che gli storici non avevano potuto far emergere, un’opera che avrà certamente un buon futuro e che presto verrà presentata nelle scuole valsesiane. La letteratura batte la storia: due a zero”: Enrico Pagano, che ha firmato la prefazione, ha ricordato come il libro sia nato proprio da una serie di conversazioni ed esperienze comuni che hanno indotto Fabio Musati a ricercare prima all’interno della sua famiglia, poi allargando progressivamente l’orizzonte. Per Fabio è stato un interesse germogliato in anni lontani, in età adolescenziale, quando Cino Moscatelli portò al padre una copia de Il Monterosa è sceso a Milano e la dedicò proprio a lui, avendo compreso che la memoria va trasmessa alle generazioni più giovani, a chi non ha vissuto quegli anni, ma proprio per questo devono “entrargli dentro, trovare una collocazione senza perdersi nell’indistinto fluire del tempo e della storia”.
Dall’incipit del romanzo, che cala il lettore nella settimana santa del 1944, nel cuore della Resistenza, alle pagine finali in cui Veritò, sopravvissuto al campo di concentramento e tornato a lavorare alla Falk, disperde nel forno le ceneri del padre, dicendo “Il mio l’ho fatto, ho pensato, e ho ripreso la mia vita”, è sottesa una domanda rivolta ai lettori che induce a riflettere sulle scelte del presente.
Il romanzo si inserisce nel filone resistenziale alto, tracciato da Fenoglio, Calvino, Pavese, parla in modo estremamente diretto, che arriva al cuore del lettore, con una forza diversa dal saggio storico: Veritò, alter ego dell’autore, è la “terza persona” che serviva per raccontare due figure di valsesiani che ebbero ruoli importanti nella Resistenza e che pagarono con la vita la loro scelta dopo l’8 settembre. Clemente e Attilio Musati erano lo zio e un cugino di Fabio: “Mio padre aveva conservato tutto del fratello che era l’eroe di famiglia, dalle pagelle alle medaglie, alle croci di guerra, alle numerose fotografie che ho sempre visto in casa, di Attilio sapevo molto meno, ma come scrittore potevo prendermi delle belle libertà”. Essendo un romanzo non c’è la bibliografia, ma dietro ad ogni pagina si sente l’eco di molte letture, di fonti accuratamente ricercate ed esaminate: “Le dieci paginette sul lager di Mauthausen mi sono costate otto mesi di lavoro, lì mi sono bloccato perché dovevo calarmi nell’indicibile”.
L’autore non ha eluso nessuno dei temi più delicati e che maggiormente dividono il mondo della Resistenza: quello della guerra civile, inventando un incontro con un conoscente che aveva fatto la scelta opposta, motivandola per cercare di capire anche le ragioni degli altri e quello del “furto di futuro”: “Se non hai futuro puoi pensare solo alla distruzione”, ragionamento quanto mai attuale, che può essere la chiave per interpretare certi comportamenti apparentemente inspiegabili dei giovani di oggi, ma anche per comprendere il difficile reintegro dei reduci nella società. Chi tornava dai Lager nel clima euforico seguito alla fine della guerra, era una stonatura: “Eravamo una nota bassa in un concerto di flauti e violini”.

Piera Mazzone
Nella foto, da sinistra: Conserva, Musati, Pagano

Piera Mazzone


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