lunedì 16 dicembre 2013

Huayna Picchu

Da quassu’ lo spettacolo mozzerebbe il fiato, se dopo la faticaccia ne avessi ancora.  Sotto qualche straccio filamentoso di nuvola, si vedono le terrazze in pietra dell’antica città Inca, il sentiero che zigzaga nel verde della vallata, l’orrido che si strozza tra i crostoni di roccia e termina nel letto del fiume.

Qualche metro sopra di noi un vecchio peruviano é seduto su di un sassone. La pelle della faccia come cuoio bruciato, le dita della mano destra che rattrappite grattano un chitarrino. Dei ragazzi americani lo osservano e ridono, mentre mangiano dei panini. Io non ho fame, sono troppo stanco per la salita e ho ancora in bocca il sapore aspro delle foglie di coca che mi hanno aiutato a venir su. A dire il vero, senza Guido non ce l’avrei fatta. Senza il suo incitamento ‘dai papà che sei ancora in gamba !’, senza il richiamo alla vita che mi dava standomi davanti col suo passo da giovane stambecco, lui.  Io con la bocca spalancata a cercare aria e le mani che afferravano ogni presa possibile per salire,  ma insieme siamo arrivati fino alla cima del Huayna Picchu. Gli ultimi metri (quanti? dieci? cento?) aggrappati alla roccia, qualche appiglio naturale, senza protezione, schiacciati contro la montagna, strisciandoci sopra e sentendone il graffio ruvido sulla pelle.
Adesso le nuvole si sono alzate. Quassu’ sembra di essere sospesi sul nulla. Odore di umido, freddo e Guido ha fame. Anch’io sento qualcosa che mi si muove in pancia, ma non é fame. Dobbiamo scendere. Già, bisogna scendere adesso. Deglutisco e sento una punta di amaro in fondo alla gola. Paura? E’ Guido che me lo chiede, e per spronarmi fa un paio di passi verso l’orrido. Poi si blocca. D’improvviso, come se avesse cambiato idea.  Gli prendo la mano. Trema. E' mezzo congelato, dice, con il labbro inferiore che sembra paralizzato. Lo guardo dritto negli occhi e cerco di comunicargli la sicurezza che non ho. Fa freddo, ma sento le goccioline di sudore che mi scendono dalla fronte. Questo momento sa di sale e di freddo.
Non c’é problema, gli dico. Devi tenere il peso sempre verso la montagna e scendere all’indietro piano piano,  tenendoti a tutti gli appigli che trovi. Forza ! Io davanti e lui dietro, questa volta. La mia mano che si tende verso la sua nei passaggi più difficili. La faccia schiacciata contro la montagna. Ti entra nelle narici : odore di pietra, muschio e paura. Ogni passo il rischio reale di cedere alla gravità che ci vorrebbe attirare nell’orrido. Sotto c’é il Machu Picchu, ma non lo guardiamo, tutta la nostra attenzione é al metro successivo, non c’é altro. Ogni passo il laccio delle nostre mani che ci sostiene, gli sguardi che si cercano negli attimi di sosta. Sento che si affida totalmente a me. Questo mi dà forza.
Più sotto, ritroviamo gli scalini di pietra. Da qui in poi, é roba per umani, non per camosci. Ci sediamo qualche istante a riprendere fiato. La bocca secca, le mani graffiate, gli sguardi gioiosi. Ce l’abbiamo fatta, papà ! Si’, ce l’abbiamo fatta, Guido. Ci scaldiamo in un abbraccio.

Siamo vivi, noi due, insieme più di prima.